Niente sesso: ti licenzio! Elisabetta licenziata perchè ha rifiutato le avances del capo.

Un caso di mobbing aziendale risolto dallo "" Sportello dei diritti "". Barbara D'Urso nel finale della clip consiglia ai mobbizzati la nostra associazione.

elisabetta ferrante

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Elisabetta: "Licenziata perché rifiutai il sesso a tre con il capo e l'amante"
La testimonianza raccolta da Tgcom24 è uno dei più famosi casi italiani di mobbing aziendale. Ma i soprusi subiti dai lavoratori sono tanti e di diverso tipo: il 63% delle aziende controllate nel 2012 è irregolare.Trovare un lavoro non sempre vuol dire raggiungere la soddisfazione personale e la serenità. Soprattutto quando il luogo di impiego diventa il teatro di abusi e ingiustizie. Come quando il tuo capo ti invita a partecipare a una notte di sesso a tre e tu perdi il posto solo perché declini l'invito e fai finta di niente. È quello che è successo all'ingegnere Elisabetta Ferrante, informatica presso una multinazionale di Torino, e impegnata a difendersi su sei fronti legali per far valere i propri diritti di donna e di lavoratrice.

Il suo calvario è cominciato nel 2000 con l'arrivo di un nuovo direttore che l'ha messa subito al centro delle sue "attenzioni": complimenti e avances esplicite da subito, davanti ai colleghi ma anche in privato, durante le riunioni ad arte prolungate fino a notte inoltrata. Poi una trasferta di lavoro in Olanda, con il direttore, la sua amante e quella richiesta sessuale tanto sfacciata. A Tgcom24 così ricorda quell'episodio che poi è stato all'origine del suo calvario: "Avevo 40 anni, due figli e pensavo di far carriera grazie alle mie capacità, queste proposte non erano proprio nelle mie corde. Rifiutai il sesso e fu la mia rovina. Di ritorno dal viaggio mi sono trovata senza ufficio, con i documenti in un scatolone, una scrivania contro il muro, senza mansioni, senza collaboratori e via via senza i progetti ai quali stavo lavorando".

Dopo le prime civili lamentele sporte all'azienda e le scuse formali da parte del direttore molestatore, l'improvviso trasferimento di Elisabetta in un'altra sede. "In quel momento sono crollata: ho avuto una prima crisi di panico e mi sono smarrita con l'auto. Non dormivo e non mangiavo più. I medici del lavoro hanno capito subito che si trattava di mobbing aziendale". E non era nemmeno quello il fondo dell'abisso: entra in malattia e a seguito di questo periodo viene licenziata.

"Ho deciso di far causa alla mia azienda, ma non è stato facile andare contro un colosso così grande, radicato nella città e capace di sconvolgere l'esistenza personale e familiare. Alla fine sono stati i giudici della Cassazione a darmi ragione e a confermare l'ipotesi di mobbing. La sentenza è arrivata nel 2008, sono stata reintegrata sul posto di lavoro (anche se con una mansione inferiore a quella che ricoprivo un tempo) ma il risarcimento non l'ho ancora visto: i giudici del tribunale incaricato di determinarlo hanno disatteso le linee guida dettate dalla Cassazione e l'incubo non è ancora finito".

Tempi biblici quelli dei tribunali e conti salatissimi scoraggiano molti lavoratori dal prendere misure contro capi molesti o situazioni di illegalità: "Il processo non se lo possono permettere tutti, è vero - commenta l'ingegnere Ferrante. - Io sono rimasta senza impiego dal 2005 all'inizio del 2009 e soltanto per la causa sul mobbing ho speso 100 mila euro tra primo e secondo grado di giudizio. Una cosa però, mi permetto di consigliarla a chi è vittima di soprusi e ha paura: 'Reagite', magari rivolgendovi allo 'Sportello dei diritti', ma fate sentire la vostra voce, i vostri diritti, la vostra denuncia".


Mobbing e non solo
Quello subito da Elisabetta Ferrante è uno dei primi casi che la giurisprudenza italiana ha inquadrato come mobbing, termine che definisce le condotte aggressive e frequenti nei confronti di un lavoratore compiute dal datore di lavoro, superiori o colleghi: una forma di "terrore psicologico" per emarginarlo o escluderlo.

Nello specifico, le vittime di mobbing subiscono una serie di vessazioni diverse che vanno dal demansionamento alla completa inattività; dall'assegnazione di eccessivi carichi di lavoro alle frasi ingiuriose e alle aggressioni verbali; dall'assegnazione a turni e mansioni penose alle critiche continue e umilianti; dall'isolamento dei colleghi al collocamento in postazioni di lavoro inidonee; dal trasferimento illegittimo al distacco illegittimo, dalla minaccia e dall'esercizio illegittimo del potere disciplinare all'abuso di controlli; dall'esclusione ingiustificata da benefici e incarichi alla sottrazione di strumenti di lavoro; dal rifiuto delle ferie o la loro sistematica collocazione in periodi non graditi al rifiuto immotivato di permessi. Per finire con il licenziamento ingiustificato.

Non sono considerate mobbing in senso stretto una serie di attività spiacevoli, vessatorie e comunque vietate, con cui qualche volta lo si confonde: discriminazioni, stress, straining, stalking.

Discriminazioni: l'articolo 15 dello Statuto dei lavoratori vieta al datore di lavoro atti discriminatori che colpiscono lavoratori e lavoratrici per ragioni politiche, razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull'orientamento sessuale o su convinzioni personali.

Stress: è la reazione fisiologica dell'individuo alle sollecitazioni dell'ambiente di lavoro. Spesso sfocia in gravi patologie fisiche e psichiche.

Straining: il termine viene dal verbo inglese to strain ("tendere", "mettere sotto pressione") e indica quei comportamenti del datore di lavoro o dei superiori stressanti per il lavoratore sottoposto a tensioni superiori a quelle richieste dalla propria mansione. Mentre il mobbing è caratterizzato da vessazioni intense e sistematiche, lo straining si riferisce a una singola azione ostile.

Stalking: si tratta di una serie di comportamenti molesti e persecutori, come l'essere seguiti o controllati, ricevere continure telefonate o visite, che provocano un senso di ansia e minaccia per l'incolumità propria, di un familiare o di un'altra persona legata da una relazione affettiva. Mentre il mobbing si realizza sul luogo di lavoro, lo stalking riguarda la vita privata della vittima.




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