L'Ocse lancia l'allarme con un documento inequivocabile: troppe differenze sociali tra ricchi e poveri nell'accesso alle sanità. I più abbienti si curano di più e meglio nel mondo e la sanità non è uguale per tutti. Le prestazioni mediche devono essere ac

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Il recentissimo documento dell’Ocse dal titolo “Income-Related Inequalities in Health Service Utilisation in 19 Oecd Countries” (trad. “Le disuguaglianze legate al reddito del Servizio sanitario in 19 paesi OCSE”) sui livelli di disuguaglianza nelle prestazioni assistenziali mediche in 19 diversi Paesi dell’area OCSE è eloquente sul grado di differenziazione sociale tra classi in alcuni stati ma è anche un campanello d’allarme su ciò che sta accadendo in Italia alla luce della mannaia dei tagli alla spesa pubblica che va a colpire settori, quale quello della Salute con il seguente rischio di acuire drammaticamente le divergenze sociali in virtù del diverso livello di ricchezza, segnando così un pericoloso spartiacque tra ricchi e poveri.
A rappresentare questa forte preoccupazione è Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” che ritiene utile riportare sinteticamente quanto contenuto nel report dell’organismo internazionale per cercare di porre rimedio alla scure dell’attuale governo onde evitare tagli indiscriminati e quindi lo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale e quindi del nostro welfare.
Anche perché dall’indagine dell’Ocse emerge in maniera evidente che uno dei fondamentali soluzioni alla diseguaglianza sociale è l’esistenza di un vero Servizio Sanitario Nazionale. Possibilmente pubblico e accessibile a tutti i cittadini indipendentemente dal sesso, dall’etnia e dal reddito.
Il report mette sotto la lente d’ingrandimento le differenze di accesso alle cure in virtù del reddito di 19 Paesi appartenenti all’Ocse (Austria, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Nuova Zelanda, Polonia, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti). Non è stata analizzata l&\#39;Italia, mentre i dati sono quelli forniti sino al 2009. Secondo l’indagine sono solo tre gli stati che non incorrono in discriminazioni: Gran Bretagna, Repubblica Ceca e Slovenia. Mentre le maggiori divergenze si verificano nell&\#39;accesso alle cure specialistiche e negli screening oncologici.
Ma il dato più eloquente è che in tutto il globo i cittadini che hanno redditi più bassi vanno meno dal dottore.
L’analisi ha riguardato sia i consulti con i medici di medicina generale che con gli specialisti, con particolare attenzione ai dentisti e al ramo oncologico, ed in tal senso agli screening per carcinoma alla mammella e cancro alla cervice uterina. Le conclusioni sono allarmanti, non tanto per ciò che riguarda i medici di famiglia, quanto per le visite specialistiche: le iniquità connesse al reddito sono particolarmente rilevanti in diversi paesi, e tra questi spiccano Francia e Spagna.
È ovvio, peraltro, che il ricorso minore ad alcuni servizi nella sanità può riverberarsi su uno stato di salute peggiore. Per tali ragioni, evidenziano gli analisti, misurare i tassi di accesso alle strutture sanitarie – che siano di base o specialistiche – e valutare i dati in base al reddito può essere il punto di partenza per capire quali sistemi sanitari funzionano e quali meno. E dunque quali popolazioni hanno migliori possibilità di rimanere in salute o di essere “curate bene” se si ammalano e quali meno.
Dev’essere precisato che l’Organizzazione internazionale già dal 2004 ha avviato questo tipo di rilevazioni evidenziando sin da subito una marcata disuguaglianza tra "ricchi" e "poveri" nell&\#39;accesso e nelle modalità di cura. Disparità che risultano essere rimaste sostanzialmente stabili fino ai giorni nostri o quasi sicuramente aggravate dalla crisi economica anche in ragione dei notevoli e generalizzati tagli alle casse della sanità pubblica.
Dei 19 paesi studiati, quasi tutti hanno raggiunto una copertura universale o quasi universale (ma comunque adeguata, secondo l’Ocse) per i servizi medici di base.
Per valutare l’importante questione dell’accesso ai servizi sanitari, l’Ocse ha individuato come parametro quello della cosiddetta equità orizzontale, principio per cui una persona che ha bisogno di una prestazione medica vi deve poter accedere a prescindere dal reddito percepito, dalla cittadinanza o dall’etnia.
Ed i risultati evidenziano le differenze tra paese e paese e quindi non è semplice fare una stima unitaria dei dati, poiché le stesse percentuali di accesso al servizio sanitario variano molto.
Ad esempio, risultano essere i francesi i più “medicalizzati”: il 91% si è sottoposto ad almeno una visita medica nell’ultimo anno, rispetto a solo il 68% degli statunitensi. Nonostante ciò, anche in queste differenze è possibile rilevare le ineguaglianze sociali in ogni nazione: queste sono più lampanti negli Usa, dove i cittadini più ricchi hanno visto in media almeno una volta il medico negli ultimi 15 mesi, mentre i più poveri hanno fatto in media una sola visita in 22 mesi; meno evidenti, ma comunque presenti in Francia, dove gli abbienti vedono il dottore quasi precisamente una volta l’anno, mentre più indigenti una volta ogni 14 mesi.
I paesi in le disuguaglianze sono state più sono state marcate sono Polonia, Stati Uniti, Finlandia e Spagna. A differenza di Gran Bretagna, Repubblica Ceca e Slovenia dove, almeno fino al 2009, gli abitanti hanno ricevuto lo stesso trattamento sanitario a prescindere dal reddito.
Ma è l’accesso alle cure specialistiche che fornisce i dati più rilevanti in tema di divergenze sociali.
Se, infatti, si leggono i dati riguardanti solo per le visite di medicina generale – per intenderci quelle che in Italia includerebbero la visita dal medico di famiglia – le iniquità spariscono in tutti i paesi considerati e, anzi, addirittura in sei nazioni su 19 (Danimarca, Belgio, Austria, Francia, Nuova Zelanda e Canada) l’accesso è maggiore per il 20% di pazienti che hanno in assoluto i redditi più bassi.
Se al contrario si prendono in considerazione le visite specialistiche la situazione è completamente ribaltata: le disuguaglianze tra cittadini più e meno abbienti in ragione dell’accesso a tali tipi di cure sono in generale a favore dei cittadini più abbienti sia nel caso della probabilità di vedere uno specialista, sia nella cadenza in cui questo accade.
Agli ultimi due posti vi sono Francia e Spagna (in quest’ultima, in particolare se si guarda al solo settore privato) mentre ancora una volta gli unici tre stari senza sostanziali diseguaglianze sono Gran Bretagna Slovenia e Repubblica Ceca. Mentre risultano essere molte di più le nazioni in cui le disparità risultano essere rilevanti: infatti, oltre a Francia e Spagna, di questa classifica negativa fanno parte anche Polonia, Canada, Ungheria, Svizzera, Estonia e Finlandia. Mentre non è stato possibile analizzare i dati di Austria, Germania, Irlanda e Stati Uniti.
In egual modo anche l’accesso alle visite odontoiatriche registra notevoli divergenze tra cittadini. Nei 19 paesi dell’indagine è stato evidenziato che le persone a più alto reddito hanno un accesso più frequente a questo tipo di cure, con le iniquità maggiori in Ungheria, Polonia, Spagna e Stati Uniti.
In ultimo, l’Ocse ha analizzato i dati rivenienti dagli screening oncologici, ed in particolare quelli per il carcinoma alla mammella e il cancro alla cervice uterina.
Anche in questo caso, le variazioni di accesso ai controlli, oltre ad essere registrate per tutti i paesi in base al reddito, variano moltissimo da paese a paese, a prescindere dal salario. Ma le divergenze in virtù del reddito sono più rilevanti nei paesi in cui non esiste un programma di prevenzione a livello nazionale.
Infatti, specie negli ultimi periodi, sono marcate le differenze in merito alla frequenza degli screening tra paese e paese. In particolare, ad esempio, negli ultimi due anni rispetto alla rilevazione sono state sottoposte a controlli per cancro al seno l’85% delle donne spagnole, così come negli ultimi 3 anni le donne statunitensi sono state sottoposte a screening per il tumore al collo dell’utero per l’85%. Gli stessi dati, per altre donne sono pessimi: in particolare preoccupa la situazione irlandese ed estone (in quest’ultimo caso i dati corrispondenti sono rispettivamente del 36% e 30%).
 

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