LA CORREZIONE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI SECONDO LA CORTE DI CASSAZIONE

LA CORREZIONE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI SECONDO LA CORTE DI CASSAZIONE

Dettagli della notizia

A seguito di un percorso giurisprudenziale piuttosto lungo, la Suprema Corte di
Cassazione partendo dalla circostanza che le norme in materia di accertamento e
riscossione operano su un piano diverso rispetto a quelle che governano il processo
tributario, e tenuto conto del rispetto dei principi della capacità contributiva di cui
all'art. 53 della Costituzione Cost., ha concluso per l'inapplicabilità, in sede
processuale, di decadenze relative alla sola fase amministrativa (cfr. Cass. n.
10775/2015 – Sezioni Unite n. 13378/2016).
Contrasta con tale affermazione di principio l'iter seguito da una Commissione
Regionale che si sostanzia nell'affermazione che, poiché la liquidazione dell’imposta
effettuata dall'Amministrazione finanziaria, ai sensi del D.P.R. n.600 del 1973, art. 36
bis, si svolge in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e viene effettuata
mediante procedure automatizzate, il contribuente non potrebbe contestare la
legittimità di una cartella in cui la maggiore imposta sia stata liquidata sulla base di
quanto dallo stesso prospettato .
Tale affermazione di diritto è giuridicamente errata, perché se è vero che, per il
disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 1, l'Amministrazione liquida le
imposte "avvalendosi di procedure automatizzate” e "in base alle dichiarazioni
presentate dai contribuenti", da tale esatta premessa non può dedursi che la
liquidazione di una imposta in un ammontare superiore a quanto legalmente dovuto
non possa essere contestata dal contribuente per il solo fatto che detta liquidazione
sia stata effettuata dall'Amministrazione sulla scorta di dichiarazioni rese dal
contribuente stesso.
Detta conclusione presupporrebbe l'irretrattabilità assoluta delle dichiarazioni del
contribuente e tale irretrattabilità è stata più volte esclusa dalla Corte di Cassazione,
(Sezioni Unite 15063 e 17394 del 2002).
2
A tal fine, è sufficiente ricordare che la dichiarazione dei redditi del contribuente
affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua
redazione, è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla
medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi
diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico.
Come è noto, la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e
dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in
ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati
riferiti.
Del resto una interpretazione giurisprudenziale che non consentisse la correzione
della dichiarazione darebbe luogo ad un prelievo fiscale indebito, incompatibile con
i principi costituzionali della capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., comma 1,
e dell'oggettiva correttezza dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 Cost, comma
1 (Cass. 2226/11, 1707/07, 22021/06).
Sebbene la normativa fiscale prevede che la dichiarazione di rettifica può essere
efficacemente presentata, entro determinati limiti temporali (il D.P.R. n. 322 del
1998, art. 2, comma 8 bis, e art. 43 dpr 600/73, che prevede il limite temporale
dell'emendabilità della dichiarazione integrativa "non oltre il termine prescritto per la
presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo") appare
necessario, in ossequio alla gerarchia delle fonti, ai sensi degli artt. 57 e 97 Corte
Costituzionale, interpretare la normativa sulla emendabilità della dichiarazione
limitatamente al fine circoscritto dell'utilizzabilità "in compensazione ai sensi del D.
Lgs. n. 241 del 1997, art. 17", indicata nella successiva proposizione della disposizione
(Cass.n.5399/2012).
In tal senso, ultimamente si è pronunciata la Corte di Cassazione – Sez. Tributaria
Civile – con l’ordinanza n. 1862/2020.
3
La Corte ha anche avuto modo di affermare che "In tema di imposte sui redditi il
contribuente, in base al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8 bis, come
introdotto dal D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2, è titolare della generale facoltà
di emendare i propri errori (Cass.n.19661/2013 e Cass. n. 23574/2012)-ed inoltre "...
in tema di imposte sui redditi, la possibilità per il contribuente di emendare la
dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull'obbligazione
tributaria, è esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa
dell'Amministrazione finanziaria, ed anche oltre il termine previsto per l'integrazione
della dichiarazione fissato in quello prescritto per la presentazione della dichiarazione
relativa al periodo di imposta successivo dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8
bis, come introdotto dal D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2.
Tali principi sono stati, altresì, di recente ulteriormente precisati ritenendo che il
termine annuale di cui all'art. 2 comma 8 bis del d.p.r. 322/1998, previsto per la
presentazione della dichiarazione integrativa e finalizzata all'utilizzo in
compensazione il credito eventualmente risultante, così come non interferisce sul
termine di decadenza di quarantotto mesi previsto per l'istanza di rimborso di cui
all'art. 38 del DPR 602/73 (Cass. Sez. 5, Sent. n. 4049 del 27/2/2015; Sez. 5, Sent.
n.19537 del 17/09/2014; Sez.5, Sent. n. 6253 del 20/04/2012) non esplica alcun
effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la
pretesa tributaria, quand'anche fondata su elementi o dichiarazioni forniti dal
contribuente medesimo.
In conclusione, è stata affermata dalla Corte di Cassazione l'emendabilità, in via
generale, di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa
dal contribuente all'Amministrazione fiscale, anche se non direttamente rilevabile
dalla stessa dichiarazione; ciò per l'impossibilità di assoggettare il dichiarante ad
oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico, in
conformità con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53
4
Costituzione) e della oggettiva correttezza dell'azione amministrativa (art. 97
Costituzione).
Il contribuente, quindi, non solo può contestare, anche emendando le dichiarazioni
da lui presentate all'Amministrazione finanziaria, l'atto impositivo che lo assoggetti
ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico;
ma tale contestazione, impugnando la cartella esattoriale, è l'unica possibile non
essendogli consentito di esercitare alcuna reazione di rimborso dopo il pagamento
della cartella (vedi Cass. 8456 del 2004).
Del resto, costituendo la cartella di pagamento emessa, ai sensi dell'art. 36 bis
D.P.R. 600/73, il primo atto impositivo, possono essere dedotti in giudizio tutti i vizi
della pretesa tributaria.

AVV. MAURIZIO VILLANI

Immagini della notizia

Documenti e link

X