La Cassazione: criticare aspramente il proprio datore sui blog si può

Assolto il sindacalista che denunciava con toni forti lo sfruttamento dei lavoratori

La Cassazione: criticare aspramente il proprio datore sui blog si può

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Non è diffamazione criticare aspramente il datore sui blog. Non è diffamazione l’articolo del sindacalista che denuncia l’azienda per lo “sfruttamento” dei lavoratori. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 17784 del 4 maggio 2022, ha accolto il ricorso di un sindacalista che aveva scritto degli articoli dai toni molto forti. Ad avviso della quinta sezione penale, che ha accolto le ragioni addotte dalla difesa, la nozione di “critica”, quale espressione della libera manifestazione del pensiero, oramai ammessa senza dubbio dall’elaborazione giurisprudenziale, e che viene in rilievo nella fattispecie scrutinata, rimanda non solo all’area dei rilievi problematici, ma, anche e soprattutto, a quella della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all’oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. I limiti sono rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale è quello previsto dall’art. 2 cost., onde non è consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione, né trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico. Infatti, il diritto di critica, rappresentando l'esternazione di un'opinione relativamente a una condotta, ovvero a un'affermazione, altrui, si inserisce nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall‘art. 21 della Carta costituzionale e dall‘art. 10 della Convenzione EDU. Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Proprio in ragione della sua natura di diritto di libertà, esso può essere evocato quale scriminate, ai sensi dell'art. 51 cod. pen., rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva.”

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