L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN AMBITO TRIBUTARIO

Corte di Cassazione, S.U., sent. n. 34447, del 24 dicembre 2019. di Maurizio Villani, Lucia Morciano e Federica Attanasi (Le questioni che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella o dell’intimazione di pagamento, devono essere fatte valere dinanzi al giudice ordinario, in funzione di giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c.)

L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN AMBITO TRIBUTARIO

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1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Il presente saggio si pone come obiettivo quello di ripercorrere l’excursus giurisprudenziale in tema di opposizione all’esecuzione nel processo tributario, conclusosi con la sentenza della Suprema Corte, a Sezioni Unite, n. 34447/2019 che ha statuito in tema di riparto di giurisdizione tra giudice tributario e ordinario - ponendo come linea di confine la notifica della cartella pagamento - che tale notifica determina il sorgere della giurisdizione del giudice ordinario, in quanto unico competente a giudicare dei fatti, successivamente intervenuti, estintivi e modificativi del credito tributario cristallizzato nella cartella di pagamento.

Sicché, tutte le questioni inerenti i fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo, posto a fondamento del credito erariale, devono essere fatte valere con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art.615 c.p.c.

Già la Corte Costituzionale, con la pronuncia emblematica n. 114/2018, aveva recisamente affermato che tutte le controversie che “si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento”- nei casi in cui non ci sia spazio per la giurisdizione del giudice tributario, ex art. 2 D.lgs n. 546/1992, e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossone non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, “ deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., essendo contestato il diritto di procedere alla riscossione coattiva”.

2. CORTE COSTITUZIONALE N.114/2018: È ILLEGITTIMO L’ART. 57, COMMA 1 LETT.A) D.P.R.N.602/1973

2.1 L’ordinanza di rimessione

Il Giudice delle Leggi è stato chiamato a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale inerente l’art. 57, comma 1 del D.P.R. n.602/1973 e successive modifiche, promossa dal giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Sulmona, con due ordinanze del 31 e dell’11 dicembre 2013, e dal giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste, con due ordinanze del 19 agosto 2015 e del 28 marzo 2017.

Precisamente, il giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Sulmona ha eccepito, da un lato, che l’inesistenza della notificazione del pignoramento non può essere fatta valere davanti alle Commissioni Tributarie, atteso che gli atti dell’esecuzione esulano dalla giurisdizione tributaria e non sono previsti nell’elenco degli atti impugnabili in tale sede; dall’altro, che l’art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 602 del 1973 limita le opposizioni regolate dagli artt. 615 e 617 c.p.c. a vizi ben specifici, tra cui non rientrerebbe l’inesistenza della notificazione del pignoramento.

Per tali ragioni, il giudice rimettente ha ritenuto che vi fosse un difetto assoluto di giurisdizione con conseguente violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La disposizione censurata, altresì, violerebbe la “riserva di legge prevista dall’art. 97 Cost. e 111 Cost.” e contrasterebbe sia con “gli artt. 3, 11, 117 Cost. e 6 CEDU, nella parte in cui non garantisce al debitore di crediti erariali un processo equo quanto meno in misura pari agli altri debitori”; sia con l’art. 113 Cost. “atteso che si avrebbe una limitata impugnativa del cittadino per atti della pubblica amministrazione, sostanziantesi in forme di notificazione extra ordinem”.

Del pari, il giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste, in due procedimenti civili promossi da una società, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente all’art.57 citato.

Il giudice a quo, ha premesso che l’art.57 citato oggetto di doglianza, impedisce al debitore opponente la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione, che è ammissibile solo per far valere l’impignorabilità dei beni, non anche, per rilevare l’illegittimità dell’esecuzione o la carenza dei presupposti dell’esecuzione, costringendo il contribuente a subire in ogni caso l’esecuzione, sebbene ingiusta, con la sola possibilità di presentare ex post una richiesta di rimborso di quanto ingiustamente percepito dall’Amministrazione Finanziaria o dal suo concessionario per la riscossione, ovvero di agire per il risarcimento del danno.

Alla luce di tanto, secondo il giudice rimettente il succitato art. 57 si porrebbe in contrasto “con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto impedisce di chiedere ed ottenere tutela giurisdizionale sia nei confronti di privati che nei confronti dello Stato e di altri enti minori”, lasciando al contribuente la sola possibilità di agire ex post per il rimborso delle somme versate, nonché “con l’art. 3 della Costituzione in relazione alla differenza di trattamento che crea tra contribuenti che sono in grado di pagare immediatamente l’intero tributo e quelli che, invece, non hanno mezzi sufficienti per farlo”.

Inoltre, sarebbe violato l’art. 24 Cost., poiché è impedita al debitore opponente, in modo generalizzato ed irragionevole, ogni possibilità di difesa, consentendosi al medesimo di fare opposizione all’esecuzione solo ed esclusivamente per far valere l’impignorabilità dei beni, non anche per tutelarsi da esecuzioni illegittime. In ultimo, il giudice a quo ha sostenuto che sarebbe violato anche l’art. 113 Cost., dal momento che la disposizione censurata limita e impedisce la tutela del contribuente contro una determinata categoria di atti della pubblica amministrazione e dei concessionari di quest’ultima, impedendo in modo indiscriminato e ingiustificato ogni difesa contro tutti gli atti dell’esecuzione.

La Consulta ha trattato congiuntamente le questioni di legittimità costituzionale de quibus, in quanto sovrapponibili, ritenendo infondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Sulmona e accogliendo, invece, quelle poste con le ordinanze del Tribunale ordinario di Trieste per le ragioni che si esporranno di seguito.

2.2 La decisione della Consulta

La Consulta ha ritenuto fondate nel merito le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste, in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost. in relazione all’art. 57 del D.P.R. n. 602 del 1973, segnatamente il suo comma 1, lettera a).

Il Giudice delle Leggi, in via preliminare, ha menzionato l’antecedente legislativo del censurato art. 57 cit., come sostituito dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 46 del 1999, n. 46- che disciplina attualmente l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi nel regime della riscossione delle imposte sul reddito- ossia l’art. 54 del medesimo D.P.R. nella sua originaria formulazione, in vigore fino al riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo di cui al citato d.lgs. n. 46 del 1999.

Quest’ultima disposizione (art. 54 citato) regolava la materia della riscossione delle imposte sul reddito in termini particolarmente restrittivi per il contribuente ad essa assoggettato, nelle ipotesi d’inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione.

In particolare, per le entrate patrimoniali dello Stato l’art. 3 del Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato) accordava ampia tutela al debitore perché stabiliva che egli, nel prescritto termine (di trenta giorni dalla notificazione della ingiunzione), poteva proporre opposizione (o ricorso) avanti al conciliatore o al pretore o al tribunale del luogo in cui aveva sede l’ufficio emittente, nel rispetto delle norme del codice di rito, espressamente richiamato, e riconosceva al giudice adito il potere di sospendere il procedimento coattivo.

Di converso, in riferimento alle imposte sul reddito, il testo originario dell’art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 – prevedendo testualmente, al secondo comma, che “[l]e opposizioni regolate dagli artt. da 615 a 618 del codice di procedura civile non sono ammesse” – escludeva qualsiasi opposizione del contribuente, consentendo solo quella di terzo ex art. 619 c.p.c..

Tale preclusione assoluta veniva, al contrario, ponderata, con la disciplina speciale derogatoria, dall’ulteriore prescrizione del medesimo art. 54 che stabiliva, al primo comma, che “[l]a procedura esecutiva non può essere sospesa dall’esattore se la sospensione non sia disposta dall’intendente di finanza ai sensi dell’art. 53 o dal pretore in seguito ad opposizione di terzo”.

Dal dato normativo si evince che era riconosciuta al contribuente assoggettato a riscossione esattoriale una tutela amministrativa (il ricorso all’intendente di finanza), alla quale solo successivamente poteva seguire − secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 26 novembre 1993, n. 11717) − una tutela giudiziaria innanzi al giudice amministrativo adito avverso l’eventuale provvedimento sfavorevole dell’intendente di finanza; mentre il ricorso al giudice tributario avverso il ruolo non sospendeva ex se l’esecuzione, né questa poteva essere sospesa da quel giudice, ove adito, in quanto, nel regime processuale del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), non ne aveva il potere.

In predetta situazione, la tutela del contribuente era limitata e, in buona sostanza, era prevalentemente successiva alla riscossione stessa dal momento che il medesimo art. 54, al terzo comma, prevedeva che il contribuente, che si fosse ritenuto leso dall’esecuzione esattoriale, poteva agire contro l’esattore dopo il compimento della esecuzione stessa domandando il risarcimento dei danni per aver subito un’esecuzione illegittima.

La disposizione citata, sulla base che questa rappresentasse un meccanismo di solve et repete, fu investita da censure di illegittimità costituzionale non differenti da quelle che avevano riguardato l’art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, recante «Legge sul contenzioso amministrativo (All. E)»; quest’ultima disposizione normativa, non solo condizionava la tutela giurisdizionale del contribuente alla pubblicazione del ruolo e all’iscrizione a ruolo dell’imposta (primo comma), ma prevedeva (al secondo comma) che gli atti d’opposizione per essere ammissibili in giudizio dovessero essere accompagnati dal «certificato di pagamento dell’imposta», per cui l’onere del pagamento del tributo costituiva, per il contribuente, presupposto imprescindibile per accedere alla tutela giurisdizionale.

La Corte Costituzionale, si era pronunciata sul citato articolo 6, ritenendo violato il diritto alla tutela giurisdizionale e, di conseguenza, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’uno e dell’altro comma di tale disposizione (rispettivamente: sentenze n. 125 del 1969 e n. 21 del 1961).

A tal proposito, successivamente, il Giudice delle Leggi ha precisato, invece, che nell’art. 54 citato non era rinvenibile una vera e propria clausola di solve et repete perché formalmente la tutela giurisdizionale diretta c’era, anche se innanzi al giudice amministrativo e condizionata al previo esperimento del ricorso all’intendente di finanza; per tali ragioni, la Consulta ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 54 in riferimento, in particolare, agli artt. 24 e 113 Cost. (sentenza n. 63 del 1982).

La Corte Costituzionale, dopo tale parentesi normativa relativa alla disciplina previgente all’art. 57 del D.P.R. n.602/1973, ha messo in evidenza che con“la nuova disciplina del contenzioso tributario (d.lgs. n. 546 del 1992) e con quella della riscossione mediante ruolo (d.lgs. n. 46 del 1999), estesa a tutte le entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, il quadro normativo muta radicalmente in termini di maggior tutela per il contribuente assoggettato ad esecuzione coattiva, seppur con una circoscritta carenza sulla quale ‒ come si viene ora a dire ‒ si appuntano le censure del giudice rimettente”.

Per prima cosa, in materia di riscossione coattiva, viene fissato uno specifico criterio di riparto della giurisdizione tra giudice tributario e giudice (ordinario) dell’esecuzione. Infatti l’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone che “[r]estano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”.

Da ciò si deduce, secondo la Corte Costituzionale, che “viene così tracciata una linea di demarcazione della giurisdizione, posta dalla cartella di pagamento e dall’eventuale successivo avviso recante l’intimazione ad adempiere: fino a questo limite la cognizione degli atti dell’amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell’esecuzione”.

L’art. 57 cit., pur ammettendo l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi – contrariamente all’originario art. 54 cit., che, invece, le precludeva – tuttavia non determina la generale ammissibilità delle opposizioni de quibus secondo le regole ordinarie del codice di rito.

Difatti, l’incipit dell’art. 57 conserva ancora la formulazione di accezione negativa, in termini di inammissibilità dell’opposizione.

Infatti, la disposizione in esame sottoposta al vaglio di legittimità della Consulta, dispone al primo comma:

“Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo”.

Invero, secondo la Consulta: “l’apertura alle opposizioni agli atti esecutivi – quelle relative alla regolarità formale degli atti della procedura di riscossione – è in realtà piena nel senso che sono tutte ammesse con la sola eccezione delle opposizioni che riguardano la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo. Ma non è questa una deroga limitativa della tutela giurisdizionale perché queste ultime opposizioni sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario. Quindi la tutela del contribuente c’è in ogni caso, senza che le regole di riparto della giurisdizione possano significare alcuna soluzione di continuità della garanzia giurisdizionale nel rispetto dei parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 24 e 113 Cost.)”.

Parimenti lo stesso non può dirsi per le opposizioni all’esecuzione ovvero per quelle che vedono il contribuente contestare il diritto dell’agente della riscossione a procedere ad esecuzione forzata, giacché l’art. 57 ammette solo le opposizioni che attengono alla pignorabilità dei beni, ma esclude tutte le altre.

È sulla menzionata esclusione che si fondano le censure di legittimità oggetto delle ordinanze di rimessione in questione.

Dunque, la Consulta ha sottolineato che l’art. 57, comma 1, lettera a), esprime, in parte qua, una duplice norma: una, che si sottrae alle censure del giudice rimettente, l’altra, che invece ne è attinta.

Infatti, l’art.57 citato esclude che sia ammissibile l’opposizione all’esecuzione per il solo fatto che il contribuente opponente formuli un petitum con cui contesta il diritto dell’amministrazione finanziaria o dell’agente della riscossione di procedere ad esecuzione forzata, come sarebbe invece possibile secondo il canone ordinario dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ.

Da tale punto di vista, l’art. 57 citato si raccorda con l’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, che demanda alla giurisdizione del giudice tributario le contestazioni del titolo (normalmente, la cartella di pagamento) su cui si fonda la riscossione esattoriale.

Pertanto, se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, la controversia così introdotta appartiene alla giurisdizione del giudice tributario e l’atto processuale di impulso è il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, proponibile avverso «il ruolo e la cartella di pagamento», e non già l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.

Per tale motivo, secondo la Corte Costituzionale, non c’è affatto un vuoto di tutela nell’ipotesi della prevista inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione, qualora riguardi atti che radicano la giurisdizione del giudice tributario, atteso che questa c’è comunque innanzi ad un giudice, quello tributario. L’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. si congiunge, in modo complementare, con la proponibilità del ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, assicurando, da questo punto di vista, la continuità della tutela giurisdizionale.

La Consulta ha messo in risalto nel suo iter logico, che “la censurata disposizione dell’art. 57, comma 1, lettera a), esprime anche un’altra norma: l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è inammissibile non solo nell’ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente, che contesti il diritto di procedere a riscossione esattoriale, ricada nella giurisdizione del giudice tributario e la tutela stessa sia attivabile con il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma anche allorché la giurisdizione del giudice tributario non sia invece affatto configurabile e non venga in rilievo perché si è a valle dell’area di quest’ultima. Il dato letterale della disposizione censurata non consente di ritenere che l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione sia sancita solo nella prima ipotesi e non anche nell’altra”.

Il caso di specie oggetto dell’ordinanza di rimessione, sottoposta al vaglio della Consulta è emblematico di tale situazione: il titolo sul quale si fonda la riscossione è la cartella esattoriale che è stata impugnata innanzi al giudice tributario dalla società opponente; la società de qua, altresì, con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. contesta innanzi al giudice ordinario il diritto dell’agente della riscossione di procedere ad esecuzione forzata, nella forma del pignoramento presso terzi ex art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, allegando la temporanea inidoneità del titolo a legittimare la riscossione in ragione della moratoria di 120 giorni, introdotta dall’art. 7, comma 1, lettera m), del decreto-legge n. 70 del 2011, come convertito, il quale ha previsto che, in caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi, non si procede all’esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno.

Il giudice a quo nella sua ordinanza non dubita della propria giurisdizione (ex art. 2 citato), perché il giudizio riguarda atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento, già impugnata innanzi al giudice tributario e reputa che la contestazione della società sia relativa al diritto di procedere alla riscossione e non attenga, al contrario, alla mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura sicché deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione e non già come opposizione agli atti esecutivi.

Ad ulteriore conferma di ciò, il Giudice delle Leggi elenca una serie di ipotesi che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva e non già la mera regolarità formale della procedura, come: l’intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l’eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta “rottamazione” delle cartelle di pagamento.

In tutti questi casi, a parere della Consulta “si configura la giurisdizione del giudice ordinario – perché la controversia si colloca a valle della giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 – e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva, c’è una carenza di tutela giurisdizionale perché il censurato art. 57 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice dell’esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario perché, in tesi, carente di giurisdizione. Né questa carenza di tutela giurisdizionale sarebbe colmabile con la possibilità dell’opposizione agli atti esecutivi laddove la contestazione della legittimità della riscossione non si limiti alla regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura”.

Per le ragioni innanzi esposte, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a), limitatamente alla parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, siano ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., poiché “ confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’art. 24 Cost. e nei confronti della pubblica amministrazione dall’art. 113 Cost., dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva”.

3. CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, SENTENZA N. 34447, DEL 24 DICEMBRE 2019.

Sul tema, in seguito alla commentata sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018, sono intervenute anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Invero, il Collegio, con la sentenza 24 dicembre 2019, n. 34447, ha risolto la questione cruciale relativa al conflitto di giurisdizione tra magistratura tributaria e magistratura ordinaria in ipotesi opposizione all’esecuzione.

Precisamente, la Suprema Corte, discutendo di prescrizione di crediti erariali in ambito fallimentare, ha sancito che in sede di ammissione al passivo, se il curatore eccepisce la prescrizione del credito tributario maturata dopo la notifica della cartella di pagamento (che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l'esaurimento del potere impositivo), viene in considerazione un fatto estintivo dell'obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non, dunque, il giudice tributario.

Il Supremo Consesso, pertanto, dopo aver ripercorso anche i recenti interventi della Corte Costituzionale e i vari orientamenti definiti dai giudici di legittimità, con la sentenza n. 34447/2019, ha sancito l’ammissibilità dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. dinanzi al giudice ordinario, per tutti quei fatti successivamente intervenuti alla notificata della cartella di pagamento non impugnata o divenuta definitiva a seguito di giudicato, sulla scorta del fatto che: “Se è vero che la cartella è configurabile come atto di riscossione e non di esecuzione forzata (Cass. SU 5994 del 2012) e che la giurisdizione tributaria si arresta solo di fronte agli atti di esecuzione forzata tra i quali non rientrano né le cartelle esattoriali né gli avvisi di mora (Cass. SU 17943 del 2009), è anche vero che per espressa disposizione normativa (art.2 d.lgs 546 del 1992) la notifica della cartella è un dato rilevante ai fini della giurisdizione, determinando il sorgere della giurisdizione del giudice ordinario, l’unico competente a giudicare dei fatti, successivamente intervenuti, estintivi e modificativi del credito tributario cristallizzato nella cartella”.

In sostanza, facendo leva sul principio di diritto sancito con la pronuncia in esame, si ritiene che se il contribuente non impugna dinanzi al giudice tributario una cartella di pagamento o un avviso di messa in mora nel termine di sessanta giorni o se in qualunque modo il debito diventa definitivo (ad esempio, a seguito di giudicato), determinandosi così la cristallizzazione della pretesa fiscale, gli sarà comunque riconosciuta la possibilità di impugnare la suddetta pretesa dinanzi al giudice ordinario, purché si verta in ipotesi di eventi (intervenuti successivamente alla notifica dell’atto presupposto) che possano determinare l’annullamento del debito, come ad esempio: la prescrizione, la rottamazione, l’avvenuto pagamento, la pronuncia di sospensione da parte della Commissione Tributaria, uno sgravio totale o parziale e l’impignorabilità del bene; vale a dire “fatti, successivamente intervenuti, estintivi e modificativi del credito tributario cristallizzato nella cartella”.

In questi casi, dunque, il contribuente potrà opporsi all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. dinanzi al giudice ordinario.

3.1. Il caso

La vicenda giuridica, oggetto della sentenza in commento n. 34447/2019, pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, origina da un giudizio di opposizione allo stato passivo instaurato dall’Agente della riscossione Sicilia, per aver il Tribunale di Palermo, ammesso al passivo solo alcuni crediti esattoriali, escludendone altri poiché prescritti in ragione del tempo trascorso dopo la notifica delle cartelle non opposte.

Più specificamente, giunta la causa in Cassazione, sulla questione della giurisdizione, con ordinanza interlocutoria n. 20050 del 24 luglio 2019, la Prima Sezione (esprimendo già dei chiari dubbi sulla perdurante validità dell'orientamento, espresso anche dalle Sezioni Unite - n. 14648 del 2017, sez. I. n. 15717 del 2019, sez. VI-I n. 21483 del 2015-, secondo cui qualora, in sede di ammissione al passivo fallimentare, il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella, viene in considerazione un fatto estintivo dell'obbligazione che involge l'an e il quantum del tributo, sicché la giurisdizione sulla relativa controversia spetta al giudice tributario, con la conseguenza che il giudice delegato deve ammettere il credito in oggetto con riserva, anche in assenza di una richiesta di parte in tal senso) ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, al fine di stabilire se siano o meno riservate alla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti la prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, divenuta definitiva per mancata impugnazione.

Orbene, con specifico riferimento al fatto concreto, il ricorrente (Agente della riscossione Sicilia) ha eccepito la violazione, da parte del Tribunale di Palermo, dell'art. 2 del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver dichiarato la parziale estinzione dei suoi crediti erariali per l'avvenuto decorso del termine prescrizionale, nonostante fosse privo di giurisdizione in materia.

Il ricorrente, di fatto, ha principalmente dedotto una questione attinente alla giurisdizione: il giudice delegato e successivamente il tribunale, investito dell'opposizione ex art. 98 legge fall., conoscendo dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla curatela fallimentare, a suo dire, avrebbero debordato dai limiti della giurisdizione propria, discostandosi dal principio secondo cui spetta al giudice tributario, che è fornito di giurisdizione sull'obbligazione tributaria, conoscere dell'eccezione di prescrizione, anche se maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, quale fatto estintivo dell'obbligazione stessa, ipotesi non riconducibile all'esenzione prevista dall'art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 (che riserva alla giurisdizione del giudice ordinario, e quindi fallimentare, le «controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento»), atteso che la cartella o il sollecito di pagamento non possono essere qualificati come atti dell'esecuzione forzata.

Il motivo involge, dunque, la questione se siano riservate o meno alla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti, tra i fatti estintivi dell'obbligazione tributaria, la prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento.

Ebbene, il Collegio, discostandosi da un primo orientamento espresso da precedenti pronunce a Sezioni Unite (Cass. SU n. 23832/2007, n. 14648/2017 e n. 8770/2016), secondo il quale il giudice tributario è l’unico a poter decidere di ogni controversia relativa all’an e al quantum del tributo dovuto, compresa la prescrizione maturata successivamente alla formazione del titolo esecutivo racchiuso nella cartella, ha ritenuto, stante il dettato normativo dell’art. 2, D. Lgs. n. 546/1992 che esclude dalla giurisdizione tributaria tutte le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella, che per tutti quegli eventi che intervengano successivamente alla rituale notifica della cartella e all’eventuale avviso di intimazione, il contribuente può ricorrere dinanzi al Giudice ordinario opponendosi all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c..

Più nel dettaglio, il Supremo Consesso, ha chiarito che:

“ La notifica della cartella di pagamento non impugnata (o vanamente impugnata) dal contribuente nel giudizio tributario determina il consolidamento della pretesa fiscale e l’apertura di una fase che, per chiara disposizione normativa, sfugge alla giurisdizione del giudice tributario, non essendo più in discussione l’esistenza dell’obbligazione tributaria né il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario (non tutte le controversie nelle quali abbia incidenza una norma fiscale si trasformano in controversie tributarie di competenza delle relative commissioni, come rilevato da Cass. SU n. 7526 del 2013).

Il processo tributario è annoverabile tra i processi di «impugnazione-merito», in quanto, pur essendo diretto alla pronuncia di una decisione sul merito della pretesa tributaria, postula pur sempre l’esistenza di un atto da impugnare in un termine perentorio e da eliminare dal mondo giuridico (art. 19 del d. lgs. n. 546 del 1992), che sarebbe arduo ricercare quando il debitore intenda far valere fatti estintivi della pretesa erariale maturati successivamente alla notifica della cartella di pagamento, come la prescrizione, al solo fine di paralizzare la pretesa esecutiva dell’ente creditore.

Neppure si potrebbe individuare l’atto da impugnare, come sostenuto dalla ricorrente, nell’estratto di ruolo rilasciato dal concessionario della riscossione su richiesta del contribuente, la cui impugnazione è stata ammessa per consentire a quest’ultimo di impugnare la cartella di pagamento di cui non abbia avuto conoscenza a causa della invalidità o mancanza della relativa notifica (Cass. SU n. 19704 del 2015, sez. V n. 22507 del 2019). Quando, invece, la cartella sia stata notificata e la relativa pretesa tributaria sia divenuta definitiva, dei successivi fatti estintivi della pretesa tributaria competente a giudicare è il giudice ordinario, quale giudice dell’esecuzione, cui spetta l’ordinaria verifica dell’attualità del diritto dell’ente creditore di procedere all’esecuzione forzata>>.

Per rinvigorire la fondatezza di tale conclusione, le Sezioni Unite hanno richiamato la già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018, con cui è stata sancita l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, co. 1, DPR. n. 602/73 (come sostituito dall’art. 16, D. Lgs. n. 46/1999) nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella o dell’intimazione di pagamento ex art. 50, DPR. n. 602/73, siano ammesse le opposizioni di cui all’art. 615 c.p.c..

Ebbene, come già rilevato, nella citata pronuncia, la Corte Costituzionale ha individuato la linea di demarcazione tra la giurisdizione del giudice tributario e quella del giudice ordinario, chiarendo che a monte della cartella di pagamento e dell’eventuale successivo avviso recante l’intimazione ad adempiere, la giurisdizione è del giudice tributario; a valle, invece, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell’esecuzione.

A tanto, la Corte Costituzionale, è giunta dopo aver individuato una carenza di tutela giurisdizionale perché:

- da un lato, il censurato art. 57 co. 1, DPR. n. 602/73 non ammette l’opposizione innanzi al giudice dell’esecuzione ex art. 615 c.p.c.;

- dall’altro, non è possibile proporre il ricorso al giudice tributario perché, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs n. 546/92, carente di giurisdizione in tema di atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento.

Né questa carenza di tutela giurisdizionale è colmabile con la possibilità dell’opposizione agli atti esecutivi laddove la contestazione della legittimità della riscossione non si limita alla regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura. Una dilatazione dell’ambito di applicazione di tale rimedio processuale lascerebbe comunque un’ingiustificata limitazione di tutela giurisdizionale se non altro in ragione dell’esistenza di un termine di decadenza per la proponibilità dell’azione, che invece non è previsto in caso di opposizione all’esecuzione.

Pertanto, a parere delle Sezioni Unite, il modo per colmare la carenza di tutela giurisdizionale che è all'origine dell’incostituzionalità dell'art. 57 del DPR n. 602/1973 ed è conseguente al dettato dell’art. 2 del d.lgs. n. 546, sta nel cristallizzare il principio secondo cui:

“la giurisdizione del giudice ordinario sussiste in tutte le controversie che si collocano «a valle della notifica della cartella di pagamento», dove non v'è spazio per la giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 e l'azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione, che non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, «deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva» (sentenza n. 114 del 2018)>>.

Peraltro, l'ammissibilità delle opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. (tra le quali è compresa anche l'opposizione a precetto) dinanzi al giudice dell'esecuzione per contestare il diritto di procedere alla riscossione coattiva, sulla base di fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo e, quindi, a valle della notifica della cartella di pagamento, è coerente con la natura di quest'ultima che, a norma dell'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, assolve in un solo atto le funzioni svolte dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto nella espropriazione forzata codicistica (tra le tante, Cass., sez. III, n. 3021 del 2018).

Di conseguenza, il Supremo Consesso ha, altresì, chiarito che:

<< Tra le altre evenienze che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva» mediante l’opposizione ex art. 615 c.p.c., la Corte costituzionale menziona le «ipotesi dell’intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l’eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta “rottamazione” […]» e non v’è ragione di non ricomprendervi l’estinzione del credito tributario per intervenuta prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella.

Le Sezioni Unite, dunque, dopo aver analizzato i vari approdi giurisprudenziali, hanno rigettato il ricorso proposto dall’agente della riscossione Sicilia, chiarendo che:

- << ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, viene in considerazione un fatto estintivo dell’obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non il giudice tributario>>;

- << il tribunale (ha) omesso di considerare che il termine prescrizionale applicabile alla fattispecie de quo non era quello quinquennale, bensì quello decennale, essendo le cartelle state regolarmente notificate e non opposte e, quindi, essendo la pretesa tributaria divenuta definitiva (…) >>.

Pertanto, la pronuncia in commento, pur discutendo prevalentemente di giurisdizione in tema di opposizione all’esecuzione tributaria, si è, altresì, pronunciata in tema di prescrizione dei crediti erariali, ribadendo che deve ritenersi applicabile l’orientamento seguito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del suddetto termine non consente di ritenere applicabile il termine prescrizionale decennale di cui all’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un accertamento divenuto definitivo per il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. SU n. 23397 del 2016, sez. V n. 8105 del 2019).

In conclusione, il quadro delineato ha, indotto i giudici di legittimità a rigettare le eccezioni sollevate dalla ricorrente.

3.2. Il principio di diritto

Le Sezioni Unite, dunque, con la sentenza n. 34447/2019, hanno inteso tracciare una linea di demarcazione netta tra la giurisdizione ordinaria e tributaria in ipotesi di opposizione all’esecuzione, sancendo inequivocabilmente che:

“In sede di ammissione al passivo fallimentare, ove il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notificazione della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, viene in essere un fatto estintivo dell’obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non il giudice tributario.”

In tema di prescrizione, inoltre, è stato ribadito che:

“Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 78 del d.p.r. n. 131 del 26 aprile 1986 e 2946 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., per avere il tribunale omesso di considerare che il termine prescrizionale applicabile alla fattispecie de quo non era quello quinquennale, bensì quello decennale, essendo le cartelle state regolarmente notificate e non opposte e, quindi, essendo la pretesa tributaria divenuta definitiva.

Il motivo è infondato. Esso ripropone una tesi difforme dall'orientamento seguito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del suddetto termine non consente di ritenere applicabile il termine prescrizionale decennale di cui all'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un accertamento divenuto definitivo per il passaggio in Ric. 2014 n. 06946 sez. SU - ud. 03-12-2019 -11- Corte di Cassazione - copia non ufficiale giudicato della sentenza (Cass. SU n. 23397 del 2016, sez. V n. 8105 del 2019).”

4. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

La sentenza in commento rappresenta solo un tassello di un trend giurisprudenziale con cui si è inteso tracciare un confine di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice tributario in tema di esecuzione di natura tributaria.

In tal senso, le conclusioni a cui è giunta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, provvedono certamente a delineare con maggior chiarezza i contorni e gli ambiti della questione come probabilmente non si era mai fatto prima.

I giudici di legittimità, infatti, facendo leva sulla pronuncia della Corte Costituzionale n.114/2018, si sono soffermati sulle circostanze che si sostanziano a monte e a valle della cartella di pagamento, per poi inquadrare l’ambito di tutela più idoneo per il contribuente.

Invero, la Corte Costituzionale prima e le Sezioni Unite della Cassazione poi, hanno tracciato una linea di demarcazione netta tra la giurisdizione ordinaria e quella tributaria, avendo come parametro di riferimento la cartella di pagamento e l’eventuale successivo avviso recante l’intimazione ad adempiere: ebbene,fino a questo limite la cognizione degli atti dell’amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, deve essere devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta, invece, al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell’esecuzione.

È questo, dunque, il criterio di riparto della giurisdizione, con la conseguenza che la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e quella innanzi al giudice (ordinario) dell’esecuzione devono realizzare per il contribuente una piena ed effettiva tutela giurisdizionale, coerentemente con quanto disposto dagli artt. 24 e 113 Cost..

In definitiva, in tutte le ipotesi in cui la controversia si collochi a monte della cartella (essendo contestato il titolo della riscossione tributaria), sussiste la giurisdizione del giudice tributario e il contribuente dovrà ricorre dinanzi alla Commissione Tributaria competente; di contro, in tutte le ipotesi in cui la controversia si collochi a valle (essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva), sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione dovrà qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c..

In sostanza, tutti i fatti intervenuti successivamente alla notifica della cartella (o della intimazione di pagamento), in specie quelli estintivi del credito tributario in essa cristallizzato, come la prescrizione, dovranno essere dedotti dinanzi al giudice ordinario in funzione di giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c..

Pertanto, alla luce di quanto rilevato, il contribuente potrà adire due strade:

· ricorrere dinanzi alla Commissione Tributaria competente entro i termini di legge (60 giorni dalla notifica), con il fine di contestare il titolo su cui si fonda la pretesa tributaria e vedere dichiarata l’illegittimità dell’atto impugnato;

· proporre opposizione all’esecuzione dinanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art. 615 c.p.c., qualora l’atto non sia stato impugnato nei predetti termini e il debito fiscale si sia cristallizzato, diventando così definitivo. Il contribuente a questo punto potrà impugnare la pretesa tributaria dinanzi al giudice ordinario, eccependo eventuali eventi successivi alla notifica che abbiano determinato l’annullamento del debito. Tra le evenienze che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, a parere di chi scrive, si possono individuare:

- l’avvenuta prescrizione del debito tributario;

- l’avvenuta pronuncia di sospensione totale o parziale da parte della Commissione Tributaria;

- l’eventuale riconoscimento di uno sgravio totale o parziale;

- l’adesione alla rottamazione dei ruoli con il conseguente regolare adempimento di quanto dovuto;

- l’avvenuto pregresso pagamento del debito de quo;

- la pignorabilità del bene in sé considerato e oggetto di esecuzione.

Si tratta di ipotesi in cui la doglianza del contribuente è diretta a contestare il mero diritto di procedere a riscossione coattiva, stante l’intervenuto adempimento del debito tributario o il sopravvenire di una causa di estinzione.

In conclusione, solo nelle suddette ipotesi, definitesi successivamente alla notificata della cartella di pagamento non impugnata o divenuta comunque definitiva, il contribuente potrà proporre opposizione all’esecuzione dinanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art.615 c.p.c.; invece, la cognizione degli atti dell’amministrazione e il merito della pretesa tributaria, espressione del potere d’imposizione fiscale, permarranno nell’alveo di giurisdizione del giudice tributario.

5. QUADRO SINOTTICO

Ricorso dinanzi al Giudice Tributario

ai sensi degli artt. da18 a 21 del D. Lgs. n.546/92

Ricorso dinanzi al Giudice Ordinario

ai sensi dell’art. 615 c.p.c.

In tutte le ipotesi in cui la controversia si collochi a monte della cartella, essendo contestato il titolo della riscossione tributaria, sussiste la giurisdizione del giudice tributario e il contribuente dovrà ricorre dinanzi alla Commissione Tributaria competente nel termine di 60 giorni dalla notifica della cartella con il fine di vedere dichiarata l’illegittimità dell’atto impugnato.

In conclusione, la cognizione degli atti dell’amministrazione e il merito della pretesa tributaria, espressione del potere di imposizione fiscale, permangono nell’alveo di giurisdizione del giudice tributario.

Tutti i fatti intervenuti successivamente alla notifica della cartella (o della intimazione di pagamento) e che, dunque, si collocano a valle della stessa, in specie quelli estintivi del credito tributario in essa cristallizzato, devono essere dedotti dinanzi al giudice ordinario in funzione di giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., cui spetta l’ordinaria verifica dell’attualità del diritto dell’ente creditore di procedere all’esecuzione forzata.

Il contribuente, a questo punto, potrà impugnare la pretesa tributaria ed eccepire, ad esempio:

- l’avvenuta prescrizione;

- l’avvenuta pronuncia di sospensione totale o parziale da parte della Commissione Tributaria;

- l’eventuale riconoscimento di uno sgravio totale o parziale;

- l’adesione alla rottamazione dei ruoli;

- l’avvenuto pregresso pagamento del debito de quo;

- la pignorabilità del bene in sé considerato e oggetto di esecuzione.

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