L’ INCHIESTA / CHI HA UCCISO PEPPINO BASILE? – 2 / IL SALENTO, LA NUOVA, VERA, GRANDE TERRA DEI FUOCHI. C’E’ DI TUTTO, DI PIU’. E ANCHE PEGGIO

Burgesi

Dettagli della notizia

Salentu, lu sule, lu mare, lu ientu. E le discariche abusive di rifiuti tossici. Che fa rima solamente con gli affari più ‘sporchi’ – è proprio il caso di dirlo – della nostra storia contemporanea più recente, e più drammatica, viste le ripercussioni socio – sanitarie, e l’ elevatissima incidenza di morti per tumore.

Vediamo di ripercorre le tre vicende più emblematiche: una balzata, anzi, rimbalzata, all’attenzione in questi ultimi giorni, sostanzialmente con il caso riaperto; la seconda, lasciata al momento e da anni in un buco nero della memoria collettiva; la terza, misconosciuta e anzi insondata, riaffiorata all’ attenzione generale solamente il mese scorso, dicembre 2016.

***

Il caso ritornato e sostanzialmente riaperto adesso è quello della discarica in contrada “Burgesi” ad Ugento.

Tutto ebbe inizio nel lontano 1990, quando il Consiglio comunale di Ugento, presieduto dal sindaco Pantaleo Provenzano della Democrazia Cristiana, deliberò la localizzazione della discarica in contrada Burgesi, nonostante il parere contrario del geologo Giovanni Mele, che ammoniva sui pericoli legati alla falda acquifera.

Il progetto venne approvato nel febbraio del 1991 e realizzato con una “concessione edilizia in sanatoria”.

Dall’ottobre del 2000, iniziano a susseguirsi vari ritrovamenti di innumerevoli fusti di rifiuti cancerogeni, speciali e pericolosi, in sostanza policlorobifenile, che venivano smaltiti illegalmente. Furono proprio questi ritrovamenti a far partire l’inchiesta che portò a diverse condanne.

Da marzo del 2002 a marzo del 2003 la Guardia di Finanza, ha poi accertato l’attività di smaltimento illecito di rifiuti.

Secondo i pm antimafia si tratta di un vero e proprio “romanzo criminale“: reati e affari, progetti e processi di Gianluigi Rosafio, l’imprenditore condannato per smaltimento illecito di rifiuti, e di sua moglie Tiziana Scarlino, figlia del boss della Scu di Taurisano Pippi Calamita.

Tra veleni cancerogeni sversati nei campi del Salento e inabissamenti societari per far perdere le tracce agli investigatori, accertate corruzioni di carabinieri e sospette.

In particolare, le ditte “Rosafio Rocco Servizi ambientali” e “Rosafio S.r.l., avevano prelevato direttamente ingenti quantitativi di rifiuti, pericolosi e non, direttamente dai produttori per poi trasportarli nei vari impianti di depurazione di vari paesi del basso Salento, ponendo in essere una serie di attività finalizzate allo smaltimento abusivo dei suddetti.

Si aggiunge un’altra azienda di Rosafio, l’”Azienda 2000”, che si è occupata di smaltimento di rifiuti, di auto spurgo di pozzi neri, case sulle coste e camion. Inoltre si occupava di smaltimento dei rifiuti industriali fra gli ulivi di Ugento, Presicce e nella discarica “Burgesi”.

Queste operazioni sono costate una condanna a due anni a Gianluigi Rosafio e a otto mesi alla moglie Tiziana.

È proprio in questa occasione che Rosafio dichiara ai pm che “imprenditori, tecnici e operai avevano stretto un patto per mantenere il più assoluto silenzio sulle operazioni e per continuare quei lucrosi traffici di veleni fin nel cuore della terra salentina”.

Tra i vari luoghi di scarico, oltre alle campagne e sulle strade di passaggio, e alla discarica Burgesi, vi era una vasca che si trovava in alcuni immobili di proprietà dei Rosafio, dotata di un sistema che permetteva ai liquidi di riversarsi nella falda acquifera.

Nel 2005 l’imprenditore edile, Bruno Colitti, viene ingaggiato dalle ditte Imperfoglia e Serveco per bonificare l’area dove negli anni Novanta erano stati sotterrati fusti di pcb.

Un appalto della Regione dal valore di circa 3 milioni di euro di fondi europei. Colitti era solo un piccolo tassello, “l’ultima ruota del carro”, dell’operazione e quando si accorse che le cose non andavano come dovevano, andò dritto in procura.

Nello stesso anno, venne compiuto l’ennesimo scempio ambientale in contrada Burgesi.

Come detto in precedenza, Bruno Colitti si presentò di sua spontanea volontà alla Guardia di finanza. Era il 12 dicembre 2006. Egli raccontò come gli fosse stato chiesto di occultare in contrada Burgesi rifiuti tossici e speciali. Colitti accusò la ditta che aveva ricevuto l’appalto per quasi tre milioni di euro finanziati dalla Regione Puglia, per realizzare la bonifica dell’area, e che aveva subappaltato il lavoro a tre ditte locali, di aver interrato i rifiuti piuttosto che rimuoverli.

Il 2 febbraio del 2005 vennero avviati i lavori, che si conclusero nel giugno 2007 con collaudo finale datato 30 novembre 2007.

Nel successivo procedimento aperto dalla Procura di Lecce furono sei i nomi a finire nel registro degli indagati. L’inchiesta fu poi archiviata dal giudice per le indagini preliminari, Ercole Aprile, nel 2009.

Il 14 giugno 2008 venne ucciso Giuseppe Basile.

Nel settembre dello stesso anno, in contrada Burgesi, furono riversati rifiuti tossici su cui indagava Basile. Tonnellate e tonnellate di rifiuti speciali e tossici, tra cui il pericolosissimo apirolio, l’olio sintetico usato per il raffreddamento dei motori elettrici bandito negli anni ‘Settanta perché cancerogeno, mischiate a materiale inerte e nascoste sotto trenta metri di terra.

È stato lo stesso consigliere, dopo la sua elezione, ad alzare la voce: ha iniziato a scavare nelle delibere, tra gli atti e le vicende controverse della sua terra.

In seguito alla sua morte, è stata l’avvocato che ha fatto assolvere i vicini di casa, Francesca Conte, a scavare negli atti dai quali è emerso che una delle battaglie di Peppino era proprio la discarica di Burgesi, ma è stato lo stesso consigliere dell’Italia dei valori a portare filmati, sostenendo di avere “una bomba tra le mani”. Quei filmati riguardavano proprio la discarica.

Il 5 ottobre 2009 viene scoperto lo smaltimento illecito di liquami: quindici le condanne.

Un’altra ditta di Rosafio, la “Geotec”, viene condannata per scarico di rifiuti presso le campagne ditta. Inoltre viene letto il dispositivo con cui si è chiuso il giudizio di primo grado nei confronti dei titolari della, di smaltimento dei rifiuti “Rosafio S.r.l.” che, insieme ad altri trentatre imputati erano coinvolti, a vario titolo, in una vicenda riguardante appunto il traffico illecito.

Rosafio viene condannato a sette anni e due mesi, suo padre a cinque anni e sua moglie Tiziana a nove mesi. Viene esclusa l’aggravante mafiosa, quindi possono riprendere la loro attività lavorative presso la “Geotec”.

Nello stesso anno la Guardia di finanza di Lecce ha sequestrato ad Ugento l’ex discarica comunale in contrada Burgesi.

La vecchia discarica è al centro di un’inchiesta della Procura di Lecce nata dall’autodenuncia di un imprenditore edile locale, Bruno Colitti, secondo il quale la bonifica dell’area, oggetto di un finanziamento comunitario di tre milioni di euro nel 2005, in realtà non ci sarebbe mai stata. Sempre secondo la denuncia, i lavori sarebbero stati eseguiti da una ditta tarantina violando la legge, seppellendo migliaia di metri cubi di rifiuti, anche tossici.

Il sequestro è scattato al termine della seconda tornata di scavi disposti dal magistrato inquirente, Donatina Buffelli, durante i quali a cinque metri di profondità sono venuti alla luce copertoni di auto, pezzi meccanici, materiale di demolizione, vetro, buste e fogli di plastica, lamiere e soprattutto pezzi di un telo in polietilene, utilizzato secondo Colitti per coprire lo sversamento di policlorobifenile e altri rifiuti tossici.

Il 3 marzo del 2009 i cittadini si ritrovano alla discarica per una imponente manifestazione di protesta, e questa viene sigillata.

Qualche anno dopo, tra il 2014 e il 2015, le parole di Rosafio iniziano ad avere un ulteriore peso.

Infatti, la Procura ha potuto finalmente individuare con precisione e accertare la presenza di un’altra enorme quantità di policlorobifenili nella discarica di Burgesi. Rosafio viene sottoposto ad altri interrogatori e proprio in quelle sedi dichiara di aver trasportato fino alla discarica di Burgesi gestita dalla Monteco seicento fusti di policlorobifenili spacciati come fanghi assimilabili a rifiuti solidi urbani.

Dopo qualche anno di stallo, nel dicembre del 2016 ritorna l’allarme inquinamento nella discarica ugentina di Burgesi dismessa a partire dal 2009.

Grazie alle dichiarazioni di Rosafio viene riaperto il caso: viene accrtata la presenza di seicento fusti di policlorobifenili, smaltiti illegalmente nei primi anni del Duemila.

Inoltre, la Procura ha disposto accertamenti riguardanti lo stato ambientale del terreno su cui sorge la discarica. Sono emerse dall’analisi del percolato, tracce di Pbc che per fortuna non avrebbero intaccato la falda.

Due i processi di Appello per Gialuigi Rosafio: il primo venne annullato con rinvio dalla Cassazione. Si era concluso, con la condanna a 4 anni e 6 mesi dell’imprenditore, gestore di fatto delle ditte “Rosafio Rocco Servizi ambientali” e “Rosafio S.r.l.”.

Il secondo processo di Appello decide che Rosafio deve essere condannato a sei mesi per minacce aggravate.

Per dimostrare la veridicità delle dichiarazioni fatte tre il 2014 e il 2015 da Rosafio, i pm Rotondano e Mignone hanno ordinato alcune perizie e il monitoraggio sia dei pozzi di captazione del percolato della discarica sia quello delle acque di falda vicine all’impianto dismesso. I risultati hanno dimostrato che si tratta di policlorobifenile ma, fortunatamente, l’acqua non era stata ancora infettata.

In sostanza ora bisogna smaltire in sicurezza la presenza di Pcb dal percolato e chiudere per sempre la discarica che da anni è stata al centro di numerose inchieste e sospetti, chiusa e abbandonata nel 2009.

Di recente, intanto, sono giunte altre dichiarazioni da parte di Gianluigi Rosafio, che ha dichiarato ai carabinieri del Noe e del Nucleo investigativo: “Quei seicento fusti sono lì, dentro la discarica di Burgesi a Ugento. Conosco il punto con precisione. E ci sono anche altri veleni: vernici, pellame e altro ancora”.

Una vicenda ancora proprio per niente conclusa, che abbiamo cercato di ricostruire, in sintesi giornalistica, nelle sue fasi giudiziarie, da cui, come abbiamo visto, emergono precisi collegamenti con l’ azione civile e politica di Peppino Basile, per quanto, come visto ieri, la Procura della Repubblica di Lecce abbia escluso ogni collegamento.

***

C’è però anche un’ altra ‘pista’ da seguire, e che seguiremo, o forse, per meglio dire, un’ altra diramazione della pista ‘smaltimento illecito dei veleni’ che abbiamo iniziato a percorrere.

Anzi, ce n’è una terza nuova, del tutto nuova, che abbiamo scoperto.

Ma andiamo con ordine.

Per questa seconda, occorre però, oltre a risalire agli anni Ottanta, anche spostarsi geograficamente e ricominciare dalla Campania dove lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici, tra la province di Napoli e quella di Caserta, precisamente in quelle zone che lo scrittore Roberto Saviano in “Gomorra” ha rinominato “Terra dei fuochi”, è un fenomeno di notevole e drammatica evidenza.

In questi posti esistono molte discariche abusive, in piena campagna o lungo le strade: quando queste si saturano, per liberare spazio per i rifiuti successivi, vengono appiccati degli incendi.

La maggior parte dei rifiuti “smaltiti” in queste zone sono rifiuti speciali. Sono i rifiuti più pericolosi e inquinanti, per intenderci, specie se il loro “smaltimento” avviene con modalità così rudimentali.

Lo smaltimento dei rifiuti speciali dovrebbe seguire una modalità di trattamento e stoccaggio particolare, proprio per contenere i pericoli ambientali derivanti dalla loro gestione. Lo smaltimento è poi differente a seconda della tipologia di rifiuto: il percorso di un solvente di laboratorio è diverso da quello di un pannello di amianto.

La criminalità organizzata si è sempre fatta protagonista dello smaltimento e del riciclaggio dei rifiuti: infatti, proprio nella Terra dei fuochi, la camorra ha iniziato a occuparsi di rifiuti fin dagli anni Ottanta, prima di quelli urbani, poi di quelli speciali e pericolosi, più redditizi.

Il fenomeno è diventato più conosciuto grazie alle prime dichiarazioni del boss Nunzio Perrella ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli: Perrella sottolineò l’enorme interesse finanziario della criminalità organizzata per questo settore.

A lui e a tanti altri boss che hanno commesso le sue stesse operazioni e hanno poi dichiarato come funziona il sistema agli inquirenti, c’è Carmine Schiavone che già nel 1995 ai magistrati aveva evidenziato come la Campania fosse destinata a diventare una discarica a cielo aperto, soprattutto di materiali tossici tra cui piombo, scorie e materiale acido.

Cosa succedeva? Lo dichiara proprio lo stesso Carmine Schiavone del clan dei Casalesi in un’intervista nel 2013: “Quando mi sono ribellato per la presenza di tutti questi rifiuti, gli altri del clan hanno continuato imperterriti, mi hanno fatto arrestare per mettermi fuori gioco. Scaricavano camion di rifiuti tossici, poi scaricavano i rifiuti normali e, sopra a tutto questo, mettevano la terra e sulla stessa si coltivava”.

Rifiuti chimici, farmaceutici, ospedalieri, fanghi termonucleari: tutti rifiuti provenienti da Germania, Francia e Austria, e arrivavano nel basso Lazio ma, principalmente, venivano portati a Casale, Santa Maria La Fossa, Grazzanise, e venivano sotterrati sia nelle campagne che nelle cave di sabbia. Rifiuti, dunque, hanno causato innumerevoli morti e continuano a farlo tuttora.

Carmine Schiavone non ha operato da solo, questo era ovvio. Tra i nomi da lui citati nell’audizione davanti alla commissione parlamentare sul traffico di rifiuti: Lucio Dell’ Anna (chiamato D’ANNA da Schiavone) e Antonio Ferente, detto Tonino o’ zingaro.

L’ex boss pentito, con il Salento ha un legame molto stretto.

Infatti è ad Otranto, tra il 1986 e il 1989, che il cugino di Sandokan (Francesco Schiavone) viene mandato al soggiorno obbligato.

Il Salento gli è piaciuto talmente tanto che nel 1990, con i primi soldi della sua azienda “Ba.schi”, compra un appartamento a Maglie e lo sceglie addirittura come una delle basi operative della sua latitanza, finita con l’arresto il 3 luglio 1992 a Maglie.

In quegli anni di permanenza nel Salento, Carmine Schiavone ha avuto modo di conoscere il territorio e i criminali che lo popolavano. Un Salento dominato dalla SCU, dal traffico illegale di armi e droga, un Salento che faceva da collante con l’Albania e i paesi dell’ex Jugoslavia.

È proprio negli anni di soggiorno ad Otranto che Schiavone riceve la visita di tal Tonino o’ zingaro con il quale era stato detenuto nel 1980 nel carcere di Brindisi.

Durante lo stesso interrogatorio, il pentito ha dichiarato di aver conosciuto, durante la sua vacanza ad Otranto, anche Lucio Dell’ Anna. “Costui mi raccontò che era stato grosso imprenditore edile e che era poi fallito. Parlando, scoprimmo comuni amicizie, quali Tonino o’ zingaro e Mimmo ‘a strega. Ci lasciammo con l’intesa che egli sarebbe venuto a trovarmi a Casale e infatti venne nell’autunno-inverno 1990; lo prelevai dalla stazione di Caserta e fu ospite per un giorno a casa mia. Mi disse che aveva molte conoscenze a Roma, dove spesso si recava avendo anche un’abitazione. Mi raccontò che faceva parte della Massoneria e che tale appartenenza gli aveva procurato anche dei guai. Mi offrì di fare degli impianti di calcestruzzo in Camerun. In quell’occasione appresi che D’Anna era interessato anche a traffici di armi e i assicurò che non aveva difficoltà a procurarmeli in caso di bisogno”.

In seguito a tale affermazione, infatti, Schiavone comunicò a suo cugino Sandokan quanto gli era stato detto e si fece procurare due mitragliette per conto suo ma, quando arrivarono, le passò al cugino Walter, visto che Sandokan era stato arrestato.

Dopo qualche giorno, Schiavone, suo cugino Walter, Franco Di Bona e Mario Caterino, incontrarono Dell’Anna nell’azienda dell’ex boss per ordinare al criminale della SCU una notevole somma d’armi di taglio piccolo e lungo. Le armi arrivarono dopo circa un mese e potevano essere ritirate a Lecce, così Schiavone mandò alcuni dei suoi per ritirare la merce e, in quell’occasione, ordinò altre armi di cui non ha potuto accertare l’effettiva consegna perché venne arrestato prima che arrivassero le armi.

Tutte le dichiarazioni dell’ex pentito sono state riscontrate dalla DIA di Napoli, tranne l’appartenenza di Dell’Anna alla Massoneria.

Armi, droga, e rifiuti, in collaborazione con la Sacra Corona Unita. Rimane il ragionevole dubbio che rifiuti dalla Campania siano stati trasportati anche qui da noi e che giacciano ancora, da qualche parte.

***

Infine, la terza diramazione, quella misconosciuta e anzi insondata, quella riaffiorata all’ attenzione generale nazionale solamente il mese scorso, dicembre 2016. Ancora peggio. Perché qui si tratta di rifiuti radioattivi.

Ma, come direbbe il leader del suo partito, l’ Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, “che c’azzecca” Peppino Basile, in tutto questo?
Per la prima pista, abbiamo detto del suo risaputo impegno, abbiamo accennato alle risultanze processuali che, dopo l’ assoluzione dei due imputati per la sua morte, indicherebbero proprio nell’ impegno civile e politico del consigliere il movente che avrebbe spinto alla sua eliminazione fisica.

Sono del resto fatti già ampiamente riportati, da cui non se n’è cavato nulla di concreto, e per cui la Procura della Repubblica di Lecce, come detto più volte, esclude collegamenti col delitto.

Debole, per quanto rimanga, anche la susseguente ipotesi della ‘punizione’ al consigliere, quando già un po’ tutto quanto era emerso e anzi era al centro di sia pur complicate e controverse vicende giudiziarie, estesesi con code polemiche anche alla gestione delle indagini sul delitto.

Per la seconda pista, quella di Sandokan, cugini e camorristi vari, manca al momento ogni possibilità di collegamento.

Per la terza, quella recente, quella dei rifiuti radioattivi, invece leccecronaca.it ha trovato un riferimento preciso. Sconvolgente. C’ azzecca, oh se c’ azzecca…______

( 2 – continua)

LE PUNTATE PRECEDENTI:

1 – SANGUIGNO, PASSIONALE. SEMPRE IN PRIMA LINEA. SEMPRE A VOCE ALTA. MA SOTTOVOCE AGLI AMICI DICEVA: ‘Prima o poi qualcuno mi ammazzerà‘

di Roberta Nardone

Immagini della notizia

Burgesi

Burgesi

Documenti e link

X