Ha diritto al risarcimento del danno morale autonomamente il coniuge del paziente rimasto vittima della vittima di malasanità anche a causa della depressione che rende complicata la vita affettiva.

Il fatto illecito dei sanitari sul paziente, danneggiato da un intervento a seguito della diagnosi errata di cancro, ha una sua potenzialità lesiva anche sullo stretto congiunto

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È un principio sacrosanto, quello rilevato dalla sentenza 14040/13 della terza sezione civile della Cassazione pubblicata il 4 giugno, secondo cui anche chi vive accanto a una persona che è stata vittima di un caso di malasanità ha diritto all’autonomo risarcimento del danno morale, laddove l’illecito perpetrato a carico di chi ha subito un intervento inutilmente invasivo, frutto di una sbagliata diagnosi di cancro, risulta avere una sua indipendente potenzialità lesiva anche nei confronti di chi è costretto a convivere con chi è convinto di essere a un passo dalla morte per via dell’errore dei medici. Il danno psichico consistente nello stato depressivo può ben avere rilievo tale da doversi ritenere gravemente invalidante.
Nel caso di specie è stato accolto uno dei motivi del ricorso incidentale proposto da una coppia di coniugi. Secondo gli ermellini è errata la decisione della Corte d’appello che aveva negato i danni morali anche alla moglie del paziente vittima di un intervento «superfluamente distruttivo».
In particolare, nella fattispecie l’intervento di asportazione di un banale neo alla gamba si era trasformato in un calvario per l’incolpevole paziente: gli era stato diagnosticato un melanoma e soltanto la biopsia aveva smentito la diagnosi sbagliata, con la lieta novella che risulta comunicata con un notevole ritardo, tanto che il paziente si era convinto che gli era stata riferita una pietosa bugia per lasciarlo morire in pace. A causa di tanto e quindi del fatto che pensava gli restasse poco da campare, l’uomo era fatalmente caduto in depressione.
È ingiustificata, quindi da parte dei giudici di secondo grado il mancato riconoscimento del risarcimento del danno morale anche nei confronti della moglie motivando sulla circostanza che i congiunti potrebbero far valere i danni cosiddetti “riflessi” soltanto di fronte a lesioni seriamente invalidanti della persona cara. Per i giudici del Palazzaccio però anche la depressione può essere causa di conseguenze molto serie. E soprattutto non può essere escluso che anche la moglie del paziente dato per spacciato non possa aver patito sofferenze gravi, tanto da compromettere lo svolgimento delle relazioni affettive.
La Suprema Corte ritenendo valide le doglianze del ricorso incidentale ha deciso di rinviare la causa nuovamente nel merito ad altra Corte, che dovrà anche quantificare il risarcimento a carico della Regione che risponde per il policlinico universitario citato per danni.
Per Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, a seguito della decisione in questione si aprono importanti profili di tutela per tutti i familiari che si trovano nelle medesime condizioni. Come “Sportello dei Diritti” avevamo infatti avviato azioni in tal senso per il risarcimento dei danni anche per i prossimi congiunti e la sentenza in questione rafforza il convincimento che la strada di agire anche per costoro è quella giusta.
 

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