Cassazione: licenziamento illegittimo per il dipendente di compagnia telefonica che viola il divieto dell'azienda di attivazione tariffe promozionali su schede personali, di parenti e amici

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E&\#39; quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 29628 del 2011 esaminando il ricorso proposto da una Compagnia telefonica che aveva licenziato un proprio dipendente, per violazione del divieto di attivazione di tariffe telefoniche promozionali su schede di utenze personali o riconducibili a parenti ed amici e che si era vista rigettare l&\#39;impugnazione proposta al Giudice d&\#39;Appello il quale riteneva sproporzionata la sanzione espulsiva in relazione al comportamento contestato.
Gli ermellini nella sentenza hanno stabilito che "Il giudice di merito deve valutare la congruità della sanzione espulsiva tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della gravità rispetto ad un&\#39;utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo sia alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, che all&\#39;intensità dell&\#39;elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto ed alla sua durata ed all&\#39;assenza di precedenti sanzioni, alla sua particolare natura e tipologia.".
Anche secondo il giudice di merito non esisteva una regola aziendale, conosciuta dai dipendenti, che indicasse i tipi di attivazione vietati ed i soggetti destinatari del divieto, tanto che la condotta oggetto di censura era stata solo vagamente delineata con la lettera di contestazione; la condotta contestata non rientrava, del resto, in nessuna delle categorie di comportamenti cui il ccnl ricollegava la sanzione del licenziamento senza preavviso.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti" la Corte riteneva, dunque, che il comportamento del lavoratore non fosse caratterizzato da connotati tali da far ritenere che la sua realizzazione avesse fatto venir meno il rapporto fiduciario tra le parti. Per i giudici della suprema corte il giudice d&\#39;Appello si è attenuto a tali principi, procedendo alla valutazione del comportamento tenuto dal lavoratore, così giungendo alla conclusione della mancanza di proporzionalità, non sottraendosi, ai fini di un esauriente esposizione degli elementi di convincimento, all&\#39;analisi dell&\#39;art. 48 del contratto collettivo, traendo proprio dalla valutazione del suo contenuto significativi elementi logici a favore del giudizio di non proporzionalità.
 

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