Risarciti dopo settant'anni alcuni soldati russi, imprigionati dai nazisti nella Seconda guerra mondiale. La Germania pagherà indennizzi a circa 4'000 ex soldati sovietici, ancora viventi, per la prigionia inflitta dai nazisti

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Un risarcimento materiale dei danni con il pagamento di 10 milioni di euro sta per essere effettuato dalla Germania a titolo di indennizzo per circa 4'000 soldati dell'ex Unione Sovietica, ancora viventi, che subirono la prigionia inflitta dai nazisti all'epoca della Seconda guerra mondiale.
Lo stanziamento complessivo, secondo fonti di mercoledì, è stato concordato come voce supplementare di bilancio dalla coalizione di Governo composta da democristiani e socialdemocratici. A ognuno dei sopravvissuti, spetterà così un risarcimento personale nella misura di circa 2'500 euro.
Furono quasi 5,3 milioni di militari sovietici ad essere imprigionati dai nazisti fra il 1941 e il 1945, mentre le condizioni di stenti estreme ne portarono alla morte oltre la metà di loro. Molti vennero uccisi tramite fucilazione. Altri, durante una reclusione segnata da condizioni disumane, soffrirono l'inedia o morirono a seguito di malattie.
Il presidente tedesco Joachim Gauck, nella sua allocuzione commemorativa per i 70 anni dalla fine del conflitto - aveva sottolineato le responsabilità della Germania e affermato che nel suo paese non è ancora del tutto diffusa la consapevolezza del destino crudele subito all'epoca dai militari sovietici. Mentre 700 mila furono gli italiani schiavi di Hitler e la loro vicenda riguardò altrettante famiglie e coinvolse milioni di italiani. Gli italiani occuparono uno dei gradini più bassi nella scala razziale – economico – politica che regolava il trattamento dei 14 –18 milioni di schiavi di Hitler, in gran parte deportati dall’Europa orientale nel territorio del Reich. Gli italiani furono gli ultimi prigionieri ad essere rimpatriati dai Lager. Buona parte rientrò autonomamente in condizioni pietose. Almeno 50 mila furono i deceduti nel Reich di fame, malattie, violenze, bombardamenti. Sconosciuto il numero di quanti morirono dopo il rimpatrio. In Italia, a partire dal 1998 alcuni reduci hanno avviato cause giudiziarie individuali. La Corte di Cassazione si è pronunciata l’11 marzo 2004 sul caso Ferrini contro Germania, affermando che i tribunali italiani dovevano prendere in considerazione le denunce di persone deportate durante la Seconda guerra mondiale e costrette a svolgere lavori forzati in Germania. Dopo questa sentenza, sono stati aperti numerosi processi contro la Germania, da parte di prigionieri di guerra. Per arrivare ai nostri tempi è arrivata la sentenza “storica” della 22 ottobre 2014 della Corte Costituzionale che ha avuto un immediato effetto sulle cause giudiziarie bloccate dalla legge n° 5 del 2013 del Parlamento italiano che ratificava la decisione de L’Aja. Alcune sono diventate esecutive, altre riprendono il loro iter ed è presumibile l’avvio di nuovi procedimenti anche se la questione è ancora lungi dall’essere conclusa. Una soluzione politica è solo auspicabile, osserva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” ma non sembra perseguita anche perchè la Germania è irremovibile. Fino ad oggi tutti i governi italiani, che se ne sono occupati di questa vicenda, se ne sono sempre lavati le mani.
 

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