Inchiesta "Acque rosse": condannato ad otto mesi Giuseppe Valentini, responsabile dall'aprile 2007 dell'unità territoriale di Lecce. A suo carico frode nelle pubbliche forniture e nell'esercizio del commercio. I melendugnesi avevano ragione

acqua rossa di melendugno

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Dopo due processi e sette anni di attesa, la verità sull’acqua rossa di Melendugno è stata finalmente stabilità dal Tribunale di Lecce in data 3 ottobre 2014. La sentenza è adesso a disposizione di tutti e chiunque la può leggere e trarne le proprie conclusioni.
Sin dal 2004, i cittadini di Melendugno lo avevano denunciato più volte: dai rubinetti esce acqua rossa invece che acqua pulita. Gli utenti, consapevoli di ricevere nelle condutture domestiche delle proprie abitazioni, acqua rossastra, contenente ferro in eccesso e in difformità di qualsiasi parametro di legge, che secondo l’Acquedotto Pugliese era perfettamente potabile, richiesero ad AQP che fosse ripristinata la sicurezza dell’acqua e che, in presenza di acqua palesemente non potabile, fosse loro concessa una riduzione della tariffa, così come le leggi italiane stabiliscono. Alla richiesta non venne mai data risposta e, di conseguenza, venne inoltrato, già nel 2007, un esposto-denuncia che si trasformò nell’inchiesta denominata proprio “Acque rosse”. Subito dopo, in forma di originale protesta, gli utenti iniziarono in massa l’autoriduzione sostanziale delle fatture domiciliate da AQP, fino al 50% dell’onere attribuito.
Il primo processo, iniziato nel 2010, a seguito delle indagini avviate dal P.M., dottoressa M.C. Moschettini, si concludeva nel marzo 2014 con la sorprendente assoluzione degli imputati, malgrado le innumerevoli prove portate a sostegno delle tesi dell’accusa tant'è che la Procura della Repubblica di Lecce nella persona del procuratore aggiunto dottor Ennio Cillo ha già proposto appello.
La sentenza del 3 ottobre 2014, nel secondo processo “Acque rosse”, ristabilisce la verità dei fatti e per quegli episodi è stata ormai accertata la responsabilità del dott. Giuseppe Valentini, ex direttore AQP della Provincia di Lecce, a partire dal 2007, che è stato condannato, in primo grado, a otto mesi di reclusione (pena sospesa) per frode nelle pubbliche forniture e nell’esercizio del commercio. Il giudice monocratico Silvia Minerva, della prima sezione penale del tribunale di Lecce, ha infatti ribaltato la decisione presa dalla giudice Capano nel marzo scorso, nell'ambito dell'inchiesta principale, che vide la sua completa assoluzione, nonostante dai rilievi sulle condotte idriche e dai numerossisimi campionamenti di acqua fosse risultato che l'acqua era rossa per una presenza eccessiva di ferro, in difformità dei relativi parametri di legge.
Comprensibile la soddisfazione dei melendugnesi, riuniti nel Comitato "No Acqua rossa", guidato da Franco Candido, e dello “Sportello dei Diritti” di cui presidente nazionale è il leccese Giovanni D’Agata, che hanno strenuamente lottato per anni perché fosse riconosciuto agli utenti il diritto alla salute e che si sono sempre impegnati in un’instancabile opera di informazione e sensibilizzazione dei cittadini, delle amministrazioni locali, e dello stesso Acquedotto, per la soluzione del problema, rivendicando il diritto all’acqua potabile, pulita e senza aggiunta di metalli pesanti.
La sentenza, a così breve distanza di tempo dal processo principale, è la “prova implicita” che il Comitato "No Acqua rossa" di Melendugno e lo “Sportello dei Diritti” che aveva rappresentato numerosi cittadini che si erano costituiti parte civile nel primo processo, avevano ragione a lottare per salvaguardare la salute dei cittadini, mentre chi avrebbe dovuto rappresentare il territorio a tutti i livelli era occupato da altri impegni, sicuramente importanti, ma non altrettanto urgenti.
Attendiamo, quindi, che venga stabilità la verità dei fatti anche nel processo "principale", visto che si tratta degli identici reati.
Diventa indispensabile, pertanto, che AQP dimezzi subito il costo delle fatture di acqua pregresse e future, nel territorio di Melendugno, conformandosi legittimamente alla sentenza, e che continui nell’opera di risanamento delle vecchie condutture, arrugginite e obsolete, che sono state sostituite soltanto in poco più di venti vie cittadine, con un sensibile miglioramento della qualità dell’acqua, senza comunque risolvere del tutto il problema.
 

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