Boom di turisti della morte in Svizzera. Tra il 2008 e il 2012 è raddoppiato il numero di turisti giunti al di là delle Alpi per morire. L'eutanasia un problema che deve affrontare urgentemente il legislatore italiano

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Il numero dei "turisti del suicidio assistito" è raddoppiato in Svizzera tra il 2008 e il 2012. Lo rilevano ricercatori elvetici in uno studio pilota pubblicato sul "Journal of Medical Ethics". Nel periodo considerato 611 persone domiciliate all'estero si sono recate in Svizzera a morire.
Tra queste, ben 44 sono giunte dall'Italia che rimane nelle posizioni alte della triste classifica dei 31 diversi paesi d'origine delle persone desiderose di porre fine alla loro vita e recatesi al di là delle Alpi. Quasi i due terzi, infatti, provengono dalla Germania (268) e dalla Gran Bretagna (126). Seguono Francia (66), come detto l'Italia (44), USA (21), Austria (14), Canada (12), Spagna e Israele (8 ciascuno).
La ricerca in questione ha riguardato anche l'età, il sesso di coloro che si sono recati in Svizzera per sottoporsi alla "dolce morte", ma anche il metodo utilizzato e il genere di malattia di cui queste persone soffrivano. Per questo hanno analizzato i rapporti relativi agli esami medici e alle autopsie.
È risultato che questi candidati al suicidio assistito erano di età compresa tra i 23 e i 97 anni, per una media di 69 anni, e che oltre la metà (58,8%) erano donne.
In quasi la metà dei casi, le persone in questione soffrivano di malattie neurologiche, come paralisi e sclerosi laterale amiotrofica (SLA), Parkinson e sclerosi multipla (SM). Altre cause all'origine della decisione erano i tumori e le malattie reumatiche.
Tutte queste persone tranne quattro hanno scelto di porre fine alla loro drammatica esistenza ed alle loro sofferenze con l'assistenza di Dignitas - l'organizzazione più nota, mentre Exit, ammette solo residenti in Svizzera - e quasi tutte sono morte con la somministrazione di pentobarbital sodico. Quattro con l'elio. Tale sistema ha richiamato una grande attenzione mediatica nel 2008 ed è stato descritto come lungo e penoso. Secondo gli autori dello studio ciò potrebbe essere il motivo di un calo del turismo del suicidio in Svizzera tra il 2008 e il 2009. Successivamente vi è però stato un forte incremento.
Gli studiosi hanno inoltre considerato la situazione giuridica vigente relativa all'assistenza al suicidio negli Stati da cui provenivano i "turisti della morte". "Le cifre indicano che vale la pena andare a fondo di determinate questioni", ha detto all'ats il coautore Julian Mausbach del "Centro di Competenza Medicina - Etica - Diritto Helvetiae (MERH)" dell'Università di Zurigo.
Gli autori non osano trarre conclusioni ma fanno supposizioni sui trend osservati. "Se consideriamo i tre più importanti Paesi di origine, rileviamo che in tutti e tre vi sono dibattiti sull'assistenza al suicidio", scrivono.
In particolare Gran Bretagna e Germania confermano la loro ipotesi secondo la quale il turismo del suicidio può generare discussioni sulla situazione giuridica relativa all'assistenza nei paesi da cui provengono le persone desiderose di porre fine alla loro vita. Il processo di una inglese affetta da SM che voleva venire in Svizzera a morire ha portato secondo gli autori dello studio a nuove disposizioni e a modifiche nella prassi a livello di sanzioni.
In Germania il dibattito relativo al "turismo del suicidio" ha avuto per effetto una nuova proposta di legge. "Non intendiamo giungere alla conclusione che il solo turismo del suicidio sia responsabile di ciò", ha precisato Mausbach. Ma è plausibile che questo abbia indotto a una maggiore attenzione sul tema.
Questi dati, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, sono raccapriccianti e dovrebbero portare ad un dibattito più attento anche in Italia, dove solo in sporadiche occasioni ed a seguito di decessi o manifestazioni più o meno isolate si riaccende la questione.
Il fatto che ora vi è la conferma con dati statistici alla mano che anche molti italiani abbiano scelto di percorrere pochi chilometri per recarsi oltre frontiera per farla finita con le proprie sofferenze, dovrebbe indurre il legislatore a riconsiderare urgentemente la normativa attualmente vigente in Italia che impedisce in ogni caso anche la sola scelta.
 

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